il topo
LE
ARTI AMATORIE DEL TOPO
Raggiante,
vestita di seta, un grande cappello di paglia di Firenze adagiato sul
capo, una calotta ricoperta da un intreccio di petali di rosa.
L’abito leggerissimo, anch’esso rosa, tenue, arricciato alle
spalle. Il tessuto
cadeva scostato dal corpo e la seta aderiva alle giovani forme.
Occhi
neri e profondi. Le labbra senza ombra di trucco, disponibili,
invitanti al primo sorriso. Una corolla di perle i denti
bianchissimi. Lunghi capelli castano. Spalle sottili. Adele avanzava
felina tra gli invitati, portando a spasso quel corpo da mozzare il
fiato quasi con noncuranza. Appena frastornata da tutti quegli
sguardi, ad ogni complimento rideva e nel ridere il volto si
ravvivava. Dopotutto lei era la protagonista. A tratti sorrideva al
vuoto. La mente vagava come una farfalla, solo con le labbra era
presente.
La
sala era ricolma di tavolini. Tutti i presenti sembravano orbitare
attorno agli sposi. Per il resto, un brusio contenuto aleggiava nella
sala. La compostezza degli intervenuti aveva qualcosa di metafisico,
quasi singolare. Agli occhi di Adele sembravano quasi dei figuranti.
Non un trillo, non un urlo, una risata fragorosa. Tutto in sordina,
pateticamente controllato.
Del
resto era un matrimonio tra persone dell’alta società.
Quanto
allo sposo, Roberto, si sarebbe detto un ragazzo belloccio e
dall’aria sveglia se non fosse stato un barone svizzero tedesco,
proprietario di mezza Patagonia e di un appezzamento a Rocca Secca.
Poiché era un barone, non si poteva fare a meno di lodare i
lineamenti scolpiti dai quali spiccavano due occhi vivaci, avidi di
tutto, appena addolciti dall’ironia che spuntava in fondo
all’iride. Né si poteva sorvolare sui nobili ventagli di folte
ciglia serissime che calando ritmicamente sulle palpebre ne mutavano
a volte l’espressione.
Scrutatori,
guardinghi, brillanti, quegli occhi erano il centro del mondo. E in
quel centro c’era Adele che li fissava e sospirava: indovinava
negli occhi dello sposo il volo di una pallina da golf, il bianco di
un assegno sul banco di un gioielliere, la sagoma dell’albero
maestro di uno yacht di 30 metri.
L’incontro?
Una favola moderna.
Lei
a piedi; lui nella comoda Ferrari. Una giornata di fine febbraio,
uggiosa e fredda.
Adele
era sul marciapiede. Roberto sfrecciava sulla strada. Vedendola
inchiodò. La raggiunse in retromarcia, accostandosi più che poteva.
«Un
passaggio?»
Lei
fece per rispondere, ma ben presto le parole vennero rapite dagli
occhi interessati e interessanti che le chiedevano di salire. Adele
sorrise. Aprì le narici come un coniglietto ed annusò la preda.
Benevolmente un raggio di sole l’illuminò tutta.
Salì
senza dire una parola.
«Dove
la porto principessa?» chiese lui.
«La
prima a destra, poi la prima a destra, poi la prima a destra, poi la
prima a destra… e sono arrivata!»
Fatto
il giro dell’isolato, ne fecero un altro e un altro e un altro. Ad
Adele pareva di sognare ad occhi aperti.
Questo
accadeva tre mesi prima.
|